Oltre la barricata del lavoro

Recentemente, dopo anni di onorato servizio tra le fila dei cercatori di lavoro, mi sono ritrovato dall’altra parte.
E’ stato illuminante, mi sono rivisto in molte situazioni e ho toccato con mano le difficoltà di chi seleziona e intervista potenziali lavoratori.

Niente paura, non riporterò dettagli tragicomici o episodi fantozziani, si tratta solo di una lista di errori che, a mio modo di vedere, possono mettere tragicamente fine alla più ispirata questua di lavoro.
In verità non si tratta di veri e propri errori ma, di comportamenti o banali sviste che talvolta possono sfuggire a chi cerca con fatica di ricollocarsi e si inalbera contro i cercatori di lavoratori.
Spero possa essere utile a qualcuno.

Errori: più sono banali, più costano.

Controlla di aver inserito l’allegato nel messaggio, soprattutto se esordisci con “vi allego il mio cv…”.
Se dimentichi l’allegato di una email perché mai il selezionatore dovrebbe confidare nella tua precisione al lavoro? O nella tua puntualità? E’ vero che può trattarsi di pura distrazione ma, prova a pensare a chi deve scegliere tra decine di candidature, ti assicuro che a meno di non aver in mano un numero sufficiente di candidati da invitare a colloquio, ogni elemento diventa utile per ridurre la lista.

Accertati che il curriculum sia leggibile senza dover ricorrere all’helpdesk della NASA.
Come per il punto precedente, se non verifichi la leggibilità del tuo biglietto da visita come pensi possa reagire chi lo riceve?
In questo caso non vale nemmeno l’attenuante della distrazione, banalmente, basta spedire il file a qualche conoscente e chiedergli se riesce ad aprirlo.

Non inviare la candidatura ogni giorno, più volte al giorno, non è così che otterrai risposta.
Le persone particolarmente insistenti, solitamente non fanno una buona impressione, anzi.

Se stai rispondendo ad un annuncio, leggilo ma, sopratutto leggilo bene e poi rileggilo ancora una volta.
L’annuncio parla di un saldatore? Vuol dire che cercano un saldatore, non di regalare una seconda possibilità ad un contabile pentito con l’hobby della saldatura ad arco.
Puoi provarci ma, non ti illudere, è naturale scegliere chi ha già fatto quel mestiere piuttosto che “scommettere” su chi vuole reinventarsi. Il medesimo discorso vale per eventuali requisiti anagrafici o conoscenze specifiche (lingue straniere, quel particolare software, etc.)

E’ solo un colloquio, rilassati.

Durante il colloquio, parla, raccontati e poni domande.
Se ti stai dilungando il tuo interlocutore te lo farà notare (sta a te cogliere l’invito), se invece rispondi a monosillabi non c’è rimedio, chi ti sta di fronte non si chiederà se sei un tipo particolarmente timido e riservato ma: “c’è qualcosa di cui non vuole parlare?”, “non conosce l’uso dei congiuntivi e delle frasi subordinate?”, “si annoia?”.

Non sminuire le tue esperienze, anche se ne hai ancora poche da raccontare.
L’eccesso di modestia può essere confuso con scarsa considerazione di se, arrendevolezza, negatività, farsi un’idea errata del carattere di una persona è estremamente facile.

Non confondere i ruoli, sei tu che ti proponi.
Tattiche attendiste possono funzionare in altri contesti, nella guerra per il lavoro devi innestare la baionetta e partire all’assalto. Dimostra interesse e motivazione, aspettare che ti vengano formulate le domande e rispondere con monosillabi non è una buona tattica, sei tu il protagonista!
Oltre a quanto scritto sopra, corri il rischio che il colloquio si esaurisca in pochi minuti lasciando solo un evanescente ricordo.

In bocca al lupo!

I numeri del lavoro

Riallacciandomi a quello che ho scritto sotto, mi è sembrata una buona idea prendere i dati del Ministero del Lavoro che da Marzo 2015 vengono pubblicati con cadenza mensile, dando perfino evidenza delle trasformazioni dei contratti a tempo determinato in tempo indeterminato (che pertanto non vengono considerati nuovi posti di lavoro).

Le considerazioni che si possono fare sono molte, alcune molto acute le ha già fatte Francesco Seghezzi, altre le elenco qui in ordine sparso:

  • I contratti a tempo determinato rappresentano la parte preponderante (60%-70%)  delle nuove attivazioni e si tratta di una tendenza stabile. Ci sono tipologie di lavoro che per loro natura non conviene “stabilizzare” nemmeno con il nuovo contratto a tutele crescenti?
  • I contratti di collaborazione stanno lentamente sparendo. Merito delle riforme in materia di contratti di lavoro o delle modifiche ai regimi fiscali minimi?
  • Per ora non si intravede alcuna inversione di tendenza generale che non ricalchi gli andamenti tendenziali o transizione tra una forma contrattuale verso l’altra.

Tanto paga l’INPS

Con l’esplosione dei fallimenti aumentano le operazioni poco trasparenti che mirano a recuperare rami aziendali ancora non del tutto avvizziti, lasciando in capo alla società fallita le attività non profittevoli e tutti i debiti, compresi quelli nei confronti dei dipendenti.
L’operazione è semplice, il soggetto interessato (talvolta un prestanome del precedente imprenditore) propone al curatore di affittare (più raramente di acquistare) un ramo dell’azienda fallita ma, per dare seguito all’operazione richiede un’apposita manleva che gli permetta di non subentrare nei debiti che la società fallita non ha onorato, includendo quelli nei confronti dei dipendenti, i quali possono aver maturato cospicui trattamenti di fine rapporto (TFR), in particolare se l’azienda ha meno di 50 dipendenti e quindi non è obbligata a trasferire le somme maturate dopo il 2007 al Fondo Tesoreria presso l’INPS.

Visti i tempi bui, questi accordi vengono talvolta accettati, in quanto si preferisce far ripartire almeno una parte della defunta attività e incassare il canone d’affitto del ramo d’azienda, inoltre i lavoratori dipendenti per quanto riguarda le loro spettanze possono rivolgersi all’INPS che, mediante un apposito istituto, liquida loro per intero il TFR.
Insomma, nessuno sembra perdere nulla e in questo modo viene reso possibile alla rediviva società assumere i dipendenti di quella fallita senza che questi chiedano al “nuovo” soggetto di pagare i loro crediti pregressi e magari beneficiano pure degli sgravi previsti per chi assume lavoratori in cassa integrazione o in mobilità.

Tutto questo è reso possibile dal Fondo di Garanzia, creato con la legge 297 del 1982, che raccoglie i contributi obbligatori dei datori di lavoro (0,2% della retribuzione lorda che sale al 0,4% per i dirigenti) e viene utilizzato unicamente per pagare il TFR dei dipendenti di aziende fallite. In parole povere l’INPS versa per intero il TFR maturato direttamente al dipendente e quindi si insinua al passivo del fallimento.
Grazie al lavoro dei curatori anche l’INPS riesce a recuperare parte dei crediti ma, come è evidente dalla tabella, la percentuale effettivamente recuperata è piuttosto bassa nonostante si tratti di crediti privilegiati.

Anno TFR a carico Fondo di Garanzia L. 297/1982 TFR già erogato e recuperato
2010 576,59 212,00
2009 415,51 214,00
2008 446,38 189,00
2007 463,34 183,00
2006 462,98 173,00
TUTTI I VALORI SONO ESPRESSI IN MILIONI DI EUR

Posta l’indubbia utilità di questo istituto, non mi sembra inopportuno obbligare anche le aziende con meno di 50 dipendenti a versare il TFR maturato dai dipendenti presso l’INPS (o presso un Fondo di Previdenza Complementare), eliminando il Fondo di Garanzia stesso, il relativo contributo obbligatorio ed evitando in questo modo di mettere a carico di tutta la collettività il costo dei fallimenti di aziende private.

Certo, il momento è critico, le piccole e medie aziende sono sotto capitalizzate e non è un bel momento per chiedere finanziamenti, epperò tornando all’operazione poco trasparente, non ci sarebbe più convenienza a rilevare il ramo d’azienda con il solo scopo di “pulire” l’azienda dai debiti e ripartire vergini, inoltre le risorse che si andrebbero a liberare (personale e mezzi dell’INPS, fondi a disposizione dei curatori per pagare i creditori non privilegiati) potrebbero essere almeno parzialmente utilizzati per diminuire il mostruoso cuneo contributivo e fiscale.

L’ho scritto qui perchè nel modulo di Mario non ci entra 🙂

Eclisse sul fotovoltaico?

Che gli incentivi aiutassero, fino al punto di dopare,??le aziende produttrici di pannelli fotovoltaici non ?? mai stato un mistero.

Che prima o poi, in particolar modo nel caso di ristrettezze per i pubblici bilanci, questi incentivi potessero sparire era perlomeno prevedibile.

Broken

In provincia di Padova, dove ?? presente un rilevante distretto di aziende produttrici, si susseguono oramai da mesi le proteste con le quali si chiede a gran voce "chiarezza" sulle normative in materia, ovvero si chiede di ripristinare gli incentivi del conto energia. Nonostante le precisazioni sulla maggiore qualit?? del prodotto italiano rispetto a quello cinese e sulle implicazioni ecologiche, anche i lavoratori del settore si rendono conto che??senza sussidi non si vende e se non si vende, si chiude.??

In Italia le ristrettezze al bilancio imposte dalla perdurante crisi economica non permetteranno quasi sicuramente di ripristinare gli incentivi, chi proprio vorr?? l'impianto fotovoltaico sul tetto di casa sar?? costretto a pagarlo di tasca propria e magari cercher?? di risparmiare acquistando un prodotto cinese invece di uno a kilometri zero.
Questo fatto non mi sorprende, al contrario di quanto accade in Germania,??il primo paese Europeo per investimenti nelle energie rinnovabili in Europa,??che nel??2011 ha speso ben 13 miliardi di euro in incentivi per eolico e fotovoltaico.
Lo scorso 17 gennaio il Ministro dell'Economia tedesco??Philipp R??sler ha dichiarato che il sistema di incentivi per le energie rinnovabili va rivisto e che le aziende produttrici devono affrontare la concorrenza senza poter disporre di prezzi gonfiati artificiosamente, ha quindi decretato la fine dei sussidi al settore delle energie rinnovabili tedesco.
Gli effetti di questa dichiarazione erano gi?? stati pesantemente scontati da alcune aziende del settore:
Direi che siamo ad un punto di svolta, in Germania come in Italia, un intero settore produttivo verr?? fortemente ridimensionato, ma potranno emergere le tecnologie veramente competitive rispetto alle fonti tradizionali, che mi auguro posano dimostrare, senza il doping degli incentivi, che il passaggio dai satelliti ai tetti delle nostre case (dei campi a terra non voglio nemmeno parlare) non era un azzardo.

L’articolo 18 e la giusta causa

Come molti lavoratori dipendenti sapranno, anche le aziende con pi?? di 15 dipendenti licenziano, nonostante l'esistenza dell'articolo 18 e l'obbligo di reintegro serve principalmente a spostare verso l'alto l'asticella dell'indennit?? pecuniaria che si negozia con l'aiuto del delegato sindacale.

Non sono certo che tutti sappiano che nel caso in cui il datore di lavoro non corrisponda lo stipendio, la legge non ammette che ci si possa giustamente assentare dal lavoro (non mi paghi? e io non vengo pi?? a lavorare!), in questo caso il lavoratore risulterebbe assente ingiustificato e pertanto passibile di procedimento disciplinare.
Il mancato pagamento della retribuzione ?? ovviamente riconosciuto quale giusta causa di recesso dal contratto di lavoro (art. 2119 del Codice Civile), ma dopo quanto tempo il ritardo nel pagamento dello stipendio diviene giusta causa di dimissioni? E' sufficiente una settimana? Quindici giorni? Un anno?

La legge (Statuto, CCNL, Codice Civile) non dice nulla in proposito, pertanto ci si affida alla giurisprudenza maggioritaria che ha individuato in due (2) mesi il ritardo necessario a configurare l'inadempienza contrattuale quale giusta causa di recesso.

Inoltre, sino all'emanazione della circolare n. 97 del 2003, l'INPS negava l'iscrizione alle liste di mobilit?? ai lavoratori che si fossero dimessi per giusta causa, anche in questo caso ?? dovuta intervenire la giurisprudenza con la sentenza della Corte Costituzionale n. 269 del 17-24 giugno 2002.

Mi domando per quale motivo le organizzazioni sindacali ed alcuni partiti politici vadano in escandescenza ogni qual volta viene ventilata l'ipotesi di abrogare il famigerato articolo 18 mentre non si preoccupano di far legiferare in merito al ritardo??oltre il quale al lavoratore ?? data la possibilit?? di dimettersi per giusta causa.

La crisi aumenta gli iscritti?

La crisi ha incrementato le iscrizioni ai sindacati? L’incertezza o la paura generata dalla stagnante situazione economica hanno spinto qualche lavoratore in più dei soliti a prendere la tessera?
A leggere frettolosamente i dati pubblicati dalle maggiori sigle sindacali sembra di no, il numero di iscritti alle organizzazioni sindacali cresce poco ma cresce oramai da molti anni.
Gfx
Negli ultimi due anni però i posti di lavoro persi sono stati centinaia di migliaia, per cui la seppur modesta crescita degli iscritti dovrebbe suggerire che, tra chi continua a lavorare, è aumentato il numero degli iscritti alle organizzazioni sindacali.
Avevo voglia di verificare questa ipotesi e fortunatamente sia CGIL che CISL mettono a disposizione i dati degli iscritti per categoria, questa informazione è fondamentale considerando che (la notizia è oramai di dominio pubblico) la categoria più rappresentata dai sindacati è quella dei pensionati, in pratica circa la metà degli iscritti di CGIL e CISL sono ex lavoratori.
Non è probabilmente notizia altrettanto nota ma, la seconda categoria di iscritti alle organizzazioni sindacali più numerosa dopo i pensionati è quella dei lavoratori della funzione pubblica, lavoratori che non hanno perso il lavoro in questi anni e vanno quindi esclusi dall’analisi. Istat fornisce il dato necessario per il confronto, il numero di lavoratori dipendenti.
Tab
Nonostante la diminuzione di 336mila unità negli ultimi due anni, i lavoratori dipendenti sono aumentati di circa un milione negli ultimi sei, sinceramente il dato mi stupisce, non avevo notato tutta questa dinamicità nel mercato del lavoro, considerando anche il fatto che di quel milione di posti in più dal 2004 al 2010, il 72% sono a tempo indeterminato.
La risposta alle mie domande è dunque affermativa, gli iscritti “depurati” da pensionati e pubblici dipendenti, sono aumentati ad un tasso mediamente doppio rispetto a quello con cui è aumentato il totale degli iscritti dei due maggiori sindacati italiani.
Nel 2009 il tasso di crescita degli iscritti “depurati” è stato più che doppio rispetto al totale, dei circa 61mila nuovi iscritti, 63mila non erano né pensionati né dipendenti della funzione pubblica (diminuiti quindi di circa 2mila unità).
Nel 2010 questa differenza passa a circa 5 volte (+0,21% di nuovi iscritti totali rispetto ad un +0,97%) e mentre il totale dei nuovi iscritti ammonta a circa 22mila i nuovi iscritti “depurati” sono circa 42mila!
NOTA: non ho incluso UIL in quanto fornisce i dati disaggregati per categoria solo dal 2007. Dal computo andrebbero depurati anche i disoccupati (la CGIL tessera anche chi non lavora) e i transfrontalieri ma essendo numeri modesti e non avendo troppo tempo a disposizione, non l’ho fatto. Se a qualcuno interessano i numeri che si trovano in questo post, li può scaricare qui.  

I cercatori di lavoratori

Ho attraversato mesi impegnativi sotto il profilo professionale, durante i quali ho profuso parecchie energie alla ricerca di una nuova occupazione.??Durante questo intenso periodo di colloqui, telefonate, e riscritture del curriculum, ho accumulato qualche considerazione sulle societ?? di selezione e sui cambiamenti che questa professione sta attraversando, il blog mi pare il posto giusto per condividerle.

Images

Per molti si tratta di un'ovviet??, in quanto riguarda??l'inesorabile??risalita delle multinazionali della somministrazione (le agenzie interinali per capirci) che, dopo??aver monopolizzato il collocamento della parte bassa della piramide dei lavoratori, ovvero delle professionalit?? meno pagate, si sono rapidamente spostate verso gli??impiegati, i capi ufficio, i capi reparto e quadri intermedi e non necessariamente per concludere contratti di somministrazione.??

Personalmente nutrivo delle perplessit?? sulle agenzie interinali, ai miei occhi il loro lavoro di ricerca e selezione appariva la versione industriale di un lavoro che mi ero sempre immaginato come quello di un artigiano. Molte ricerche condotte parallelamente, scarsa specializzazione dei selezionatori, troppa fretta nella gestione dell'iter di selezione, erano il motivo per cui cercavo di preferire le offerte proposte dalle societ?? di mera selezione, convinto che le due tipologie di aziende seguissero tipologie differenti di aziende e offrissero posizioni differenti.

Non saprei dire con esattezza da quando, ma ora so con certezza che l'isolamento, di cui hanno goduto per anni le??grandi e piccole societ?? di pura selezione (da Michael Page in gi?? per capirci),???? definitivamente terminato e i nuovi concorrenti sono veramente agguerriti.??Oramai anche aziende di grandi e grandissime dimensioni, che non erano solite affidare la selezione dei "responsabili di funzione" alle agenzie interinali hanno cambiato atteggiamento.

Del resto i nuovi venuti non hanno fatto leva unicamente su ci?? che gi?? avevano a disposizione (presenza capillare sul territorio, enormi database di candidati, rapidit?? di esecuzione e prezzi pi?? bassi) ma si sono strutturati come i vecchi concorrenti, con divisioni e selezionatori dedicati: Permanent Placement (Adecco), Professionals e Search & Selection (Randstad), Experis (Manpower) e via di questo passo.

Insomma, se siete alla ricerca di lavoro non fate gli schizzinosi, i cercatori di lavoratori sono cambiati e lavorano anche per voi.