La parabola fotovoltaica

A dieci anni dall’acquisizione, il gruppo Carraro esce dal settore dei componenti elettronici per gli impianti fotovoltaici ed eolici, cedendo la partecipazione di maggioranza in Elettronica Santerno al gruppo Enertronica.

La decisione è coerente con il piano di rifocalizzazione del gruppo sulla sola produzione di assali e macchine agricole, oltretutto la divisione ceduta era l’unica ancora in perdita.

Elettronica Santerno rappresenta in modo esemplare la parabola fotovoltaica, cresce prima in maniera esponenziale sull’onda degli incentivi,  realizzando ottimi margini di guadagno, una volta tolti gli incentivi e pressata dalla concorrenza asiatica, crolla.

Fatturati e Risultati Operativi della divisione Elettronica Santerno del Gruppo Carraro Spa

Non sorprende che, nel tentativo di uscire da un lungo periodo di crisi, il gruppo Carraro si liberi di una divisione con fatturati in costante calo e con risultati pesantemente negativi, tanto più se le sinergie con le altre divisioni non sono rilevanti.

Confrontando le note del 2006 (relative all’acquisizione) con quelle del 2016 (relative alla cessione), si nota che sono venute a mancare sia le aspettative verso il trasferimento tecnologico a favore delle altre divisioni del gruppo, sia quelle verso il mercato delle energie rinnovabili come elemento di diversificazione.

2006: L’acquisizione ha valenza strategica in quanto permette di allargare il presidio tecnologico ai sistemi elettronici di controllo e potenza e la loro integrazione con sistemi di trasmissione che costituiscono il core business del gruppo. Consente inoltre l’ingresso per Carraro nel settore della produzione e conversione dell’energia elettrica che è attualmente in forte espansione.

2016: La repentina crisi che si abbatte sul settore costringe a un rapido ridimensionamento dell’azienda, la cui struttura passa dai 250 dipendenti del 2010 ai 124 di oggi, ciò parallelamente alla forte diminuzione dei volumi che portano la società a un fatturato pari a 35 milioni di Euro. Negli ultimi anni i risultati della società hanno influito sul consolidato del Gruppo rendendo meno evidenti i risultati positivi di Drive Tech ed Agritalia.

Dando per assodato che nell’arco di dieci anni il trasferimento tecnologico si sia concluso con successo, resta la pesante considerazione che non essendoci prospettive di sviluppo nel mercato delle rinnovabili, ulteriori migliorie tecnologiche trasferibili sono ritenute dal gruppo Carraro poco probabili.

Anche nel comunicato di Enertronica (l’acquirente di Elettronica Santerno), non si parla di prospettive di crescita relative al mercato delle rinnovabili ma del mero rafforzamento del gruppo.

Archiviamo anche questo episodio tra le dimostrazioni che, senza incentivi economici e/o fiscali il mercato delle energie rinnovabili non può avere crescite esponenziali ma, al contrario può subire cicliche contrazioni.

I numeri del lavoro

Riallacciandomi a quello che ho scritto sotto, mi è sembrata una buona idea prendere i dati del Ministero del Lavoro che da Marzo 2015 vengono pubblicati con cadenza mensile, dando perfino evidenza delle trasformazioni dei contratti a tempo determinato in tempo indeterminato (che pertanto non vengono considerati nuovi posti di lavoro).

Le considerazioni che si possono fare sono molte, alcune molto acute le ha già fatte Francesco Seghezzi, altre le elenco qui in ordine sparso:

  • I contratti a tempo determinato rappresentano la parte preponderante (60%-70%)  delle nuove attivazioni e si tratta di una tendenza stabile. Ci sono tipologie di lavoro che per loro natura non conviene “stabilizzare” nemmeno con il nuovo contratto a tutele crescenti?
  • I contratti di collaborazione stanno lentamente sparendo. Merito delle riforme in materia di contratti di lavoro o delle modifiche ai regimi fiscali minimi?
  • Per ora non si intravede alcuna inversione di tendenza generale che non ricalchi gli andamenti tendenziali o transizione tra una forma contrattuale verso l’altra.

Il rimborso IVA che non cambia verso

Le ultime modifiche introdotte nella legge di stabilità 2015 in materia IVA hanno fatto esplodere il panico tra molti imprenditori con pochi denari a disposizione (Iva, l’allarme delle imprese: da split payment e reverse charge mancati incassi mensili per 2 miliardi).

Con uno Stato che riscuote a breve ma paga con molto comodo, è comprensibile la decisione di Confindustria di presentare un ricorso alla UE.

Da questo intervento il Governo punta a garantirsi una copertura di 780 milioni, per cui sorge legittimo il sospetto che non ci sia alcun interesse a neutralizzare il credito IVA con un meccanismo simile a quello in uso per gli esportatori abituali (Plafond), che potrebbe essere una soluzione #cambiaverso.

Del resto, leggendo l’interessante articolo di Benedetto Santacroce, emerge anche il sospetto che il Governo abbia sovrastimato l’importo delle frodi carosello che verrebbero neutralizzate con l’introduzione del reverse charge.

Quello che sicuramente è certo, Santacroce lo condensa magistralmente nella frase che chiude il suo articolo:

Insomma, comunque si risolva la questione, qualcuno in un modo o in altro dovrà subirne gli effetti.

 

Tanto paga l’INPS

Con l’esplosione dei fallimenti aumentano le operazioni poco trasparenti che mirano a recuperare rami aziendali ancora non del tutto avvizziti, lasciando in capo alla società fallita le attività non profittevoli e tutti i debiti, compresi quelli nei confronti dei dipendenti.
L’operazione è semplice, il soggetto interessato (talvolta un prestanome del precedente imprenditore) propone al curatore di affittare (più raramente di acquistare) un ramo dell’azienda fallita ma, per dare seguito all’operazione richiede un’apposita manleva che gli permetta di non subentrare nei debiti che la società fallita non ha onorato, includendo quelli nei confronti dei dipendenti, i quali possono aver maturato cospicui trattamenti di fine rapporto (TFR), in particolare se l’azienda ha meno di 50 dipendenti e quindi non è obbligata a trasferire le somme maturate dopo il 2007 al Fondo Tesoreria presso l’INPS.

Visti i tempi bui, questi accordi vengono talvolta accettati, in quanto si preferisce far ripartire almeno una parte della defunta attività e incassare il canone d’affitto del ramo d’azienda, inoltre i lavoratori dipendenti per quanto riguarda le loro spettanze possono rivolgersi all’INPS che, mediante un apposito istituto, liquida loro per intero il TFR.
Insomma, nessuno sembra perdere nulla e in questo modo viene reso possibile alla rediviva società assumere i dipendenti di quella fallita senza che questi chiedano al “nuovo” soggetto di pagare i loro crediti pregressi e magari beneficiano pure degli sgravi previsti per chi assume lavoratori in cassa integrazione o in mobilità.

Tutto questo è reso possibile dal Fondo di Garanzia, creato con la legge 297 del 1982, che raccoglie i contributi obbligatori dei datori di lavoro (0,2% della retribuzione lorda che sale al 0,4% per i dirigenti) e viene utilizzato unicamente per pagare il TFR dei dipendenti di aziende fallite. In parole povere l’INPS versa per intero il TFR maturato direttamente al dipendente e quindi si insinua al passivo del fallimento.
Grazie al lavoro dei curatori anche l’INPS riesce a recuperare parte dei crediti ma, come è evidente dalla tabella, la percentuale effettivamente recuperata è piuttosto bassa nonostante si tratti di crediti privilegiati.

Anno TFR a carico Fondo di Garanzia L. 297/1982 TFR già erogato e recuperato
2010 576,59 212,00
2009 415,51 214,00
2008 446,38 189,00
2007 463,34 183,00
2006 462,98 173,00
TUTTI I VALORI SONO ESPRESSI IN MILIONI DI EUR

Posta l’indubbia utilità di questo istituto, non mi sembra inopportuno obbligare anche le aziende con meno di 50 dipendenti a versare il TFR maturato dai dipendenti presso l’INPS (o presso un Fondo di Previdenza Complementare), eliminando il Fondo di Garanzia stesso, il relativo contributo obbligatorio ed evitando in questo modo di mettere a carico di tutta la collettività il costo dei fallimenti di aziende private.

Certo, il momento è critico, le piccole e medie aziende sono sotto capitalizzate e non è un bel momento per chiedere finanziamenti, epperò tornando all’operazione poco trasparente, non ci sarebbe più convenienza a rilevare il ramo d’azienda con il solo scopo di “pulire” l’azienda dai debiti e ripartire vergini, inoltre le risorse che si andrebbero a liberare (personale e mezzi dell’INPS, fondi a disposizione dei curatori per pagare i creditori non privilegiati) potrebbero essere almeno parzialmente utilizzati per diminuire il mostruoso cuneo contributivo e fiscale.

L’ho scritto qui perchè nel modulo di Mario non ci entra 🙂

Eclisse sul fotovoltaico?

Che gli incentivi aiutassero, fino al punto di dopare,??le aziende produttrici di pannelli fotovoltaici non ?? mai stato un mistero.

Che prima o poi, in particolar modo nel caso di ristrettezze per i pubblici bilanci, questi incentivi potessero sparire era perlomeno prevedibile.

Broken

In provincia di Padova, dove ?? presente un rilevante distretto di aziende produttrici, si susseguono oramai da mesi le proteste con le quali si chiede a gran voce "chiarezza" sulle normative in materia, ovvero si chiede di ripristinare gli incentivi del conto energia. Nonostante le precisazioni sulla maggiore qualit?? del prodotto italiano rispetto a quello cinese e sulle implicazioni ecologiche, anche i lavoratori del settore si rendono conto che??senza sussidi non si vende e se non si vende, si chiude.??

In Italia le ristrettezze al bilancio imposte dalla perdurante crisi economica non permetteranno quasi sicuramente di ripristinare gli incentivi, chi proprio vorr?? l'impianto fotovoltaico sul tetto di casa sar?? costretto a pagarlo di tasca propria e magari cercher?? di risparmiare acquistando un prodotto cinese invece di uno a kilometri zero.
Questo fatto non mi sorprende, al contrario di quanto accade in Germania,??il primo paese Europeo per investimenti nelle energie rinnovabili in Europa,??che nel??2011 ha speso ben 13 miliardi di euro in incentivi per eolico e fotovoltaico.
Lo scorso 17 gennaio il Ministro dell'Economia tedesco??Philipp R??sler ha dichiarato che il sistema di incentivi per le energie rinnovabili va rivisto e che le aziende produttrici devono affrontare la concorrenza senza poter disporre di prezzi gonfiati artificiosamente, ha quindi decretato la fine dei sussidi al settore delle energie rinnovabili tedesco.
Gli effetti di questa dichiarazione erano gi?? stati pesantemente scontati da alcune aziende del settore:
Direi che siamo ad un punto di svolta, in Germania come in Italia, un intero settore produttivo verr?? fortemente ridimensionato, ma potranno emergere le tecnologie veramente competitive rispetto alle fonti tradizionali, che mi auguro posano dimostrare, senza il doping degli incentivi, che il passaggio dai satelliti ai tetti delle nostre case (dei campi a terra non voglio nemmeno parlare) non era un azzardo.

Studi del terrore

A mio modo di vedere, gli studi di settore rappresentano una delle “creature” pi?? mostruose create dall’amministrazione pubblica.
L’inversione dell’onere di provare che non c’?? stata evasione, posta in capo al contribuente, non ?? terribile di per se (anche se rimane esecrabile) ma rappresenta solo uno tra i mille e pi?? bizantinismi prodotti dal nostro stato.
Del resto le aziende italiane gi?? devono assolvere a molte funzioni che lo stato non ?? in grado di svolgere nonostate il notevole ammontare di risorse a sua disposizione, un onere in pi?? non ?? gran cosa (anche se costa all’azienda e di riflesso a tutto il paese).

Tuttavia, richiedere ed utilizzare dati chiaramente fuorvianti ?? sciocco e pericoloso.

Ad esempio, il quadro E del modello UD32U relativo alle imprese meccaniche, chiede di elencare il numero di macchinari presenti in azienda nel 2009, viene richiesto esclusivamente il numero di beni strumentali divisi per tipologia, credo non serva un enorme sforzo per ipotizzare che al numero di macchine venga associata la capacit?? produttiva. In parole povere se ci sono macchine capaci di produrre beni per un valore presunto di 100 ma l’azienda in questione fattura solo 50, si ipotizza che la differenza possa essere stata venduta senza i dovuti documenti (cio?? in nero).

E se invece i macchinari fossero rimasti spenti ed inutilizzati a causa della crisi?

Non si poteva modificare il quadro E (1) aggiungendo la colonna “di cui in uso” (2)?

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