Eclisse sul fotovoltaico?

Che gli incentivi aiutassero, fino al punto di dopare,??le aziende produttrici di pannelli fotovoltaici non ?? mai stato un mistero.

Che prima o poi, in particolar modo nel caso di ristrettezze per i pubblici bilanci, questi incentivi potessero sparire era perlomeno prevedibile.

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In provincia di Padova, dove ?? presente un rilevante distretto di aziende produttrici, si susseguono oramai da mesi le proteste con le quali si chiede a gran voce "chiarezza" sulle normative in materia, ovvero si chiede di ripristinare gli incentivi del conto energia. Nonostante le precisazioni sulla maggiore qualit?? del prodotto italiano rispetto a quello cinese e sulle implicazioni ecologiche, anche i lavoratori del settore si rendono conto che??senza sussidi non si vende e se non si vende, si chiude.??

In Italia le ristrettezze al bilancio imposte dalla perdurante crisi economica non permetteranno quasi sicuramente di ripristinare gli incentivi, chi proprio vorr?? l'impianto fotovoltaico sul tetto di casa sar?? costretto a pagarlo di tasca propria e magari cercher?? di risparmiare acquistando un prodotto cinese invece di uno a kilometri zero.
Questo fatto non mi sorprende, al contrario di quanto accade in Germania,??il primo paese Europeo per investimenti nelle energie rinnovabili in Europa,??che nel??2011 ha speso ben 13 miliardi di euro in incentivi per eolico e fotovoltaico.
Lo scorso 17 gennaio il Ministro dell'Economia tedesco??Philipp R??sler ha dichiarato che il sistema di incentivi per le energie rinnovabili va rivisto e che le aziende produttrici devono affrontare la concorrenza senza poter disporre di prezzi gonfiati artificiosamente, ha quindi decretato la fine dei sussidi al settore delle energie rinnovabili tedesco.
Gli effetti di questa dichiarazione erano gi?? stati pesantemente scontati da alcune aziende del settore:
Direi che siamo ad un punto di svolta, in Germania come in Italia, un intero settore produttivo verr?? fortemente ridimensionato, ma potranno emergere le tecnologie veramente competitive rispetto alle fonti tradizionali, che mi auguro posano dimostrare, senza il doping degli incentivi, che il passaggio dai satelliti ai tetti delle nostre case (dei campi a terra non voglio nemmeno parlare) non era un azzardo.

L’articolo 18 e la giusta causa

Come molti lavoratori dipendenti sapranno, anche le aziende con pi?? di 15 dipendenti licenziano, nonostante l'esistenza dell'articolo 18 e l'obbligo di reintegro serve principalmente a spostare verso l'alto l'asticella dell'indennit?? pecuniaria che si negozia con l'aiuto del delegato sindacale.

Non sono certo che tutti sappiano che nel caso in cui il datore di lavoro non corrisponda lo stipendio, la legge non ammette che ci si possa giustamente assentare dal lavoro (non mi paghi? e io non vengo pi?? a lavorare!), in questo caso il lavoratore risulterebbe assente ingiustificato e pertanto passibile di procedimento disciplinare.
Il mancato pagamento della retribuzione ?? ovviamente riconosciuto quale giusta causa di recesso dal contratto di lavoro (art. 2119 del Codice Civile), ma dopo quanto tempo il ritardo nel pagamento dello stipendio diviene giusta causa di dimissioni? E' sufficiente una settimana? Quindici giorni? Un anno?

La legge (Statuto, CCNL, Codice Civile) non dice nulla in proposito, pertanto ci si affida alla giurisprudenza maggioritaria che ha individuato in due (2) mesi il ritardo necessario a configurare l'inadempienza contrattuale quale giusta causa di recesso.

Inoltre, sino all'emanazione della circolare n. 97 del 2003, l'INPS negava l'iscrizione alle liste di mobilit?? ai lavoratori che si fossero dimessi per giusta causa, anche in questo caso ?? dovuta intervenire la giurisprudenza con la sentenza della Corte Costituzionale n. 269 del 17-24 giugno 2002.

Mi domando per quale motivo le organizzazioni sindacali ed alcuni partiti politici vadano in escandescenza ogni qual volta viene ventilata l'ipotesi di abrogare il famigerato articolo 18 mentre non si preoccupano di far legiferare in merito al ritardo??oltre il quale al lavoratore ?? data la possibilit?? di dimettersi per giusta causa.

Chiudere la stalla quando il parco buoi è già scappato

La decisione di David Cameron mi sembra coerente con la recente politica britannica e pure con le inclinazioni eurofobe del suo elettorato (e non solo il suo).

A ben vedere, il primo ministro britannico non aveva alternative praticabili, Londra è il maggiore centro finanziario d’Europa e sottostare ai diktat franco-tedeschi in materia finanziaria equivarrebbe a rinunciare ad una delle principali fonti di ricchezza del Paese.

 

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Epperò potrebbe essere troppo tardi, come dimostra questo articolo del FT, l’esodo dei gruppi hi-tech dalla City verso la Grande Mela è già iniziato e cresce l’interesse per le borse asiatiche (chiedere ad esempio al gruppo Prada). Del resto, dovendo principalmente fornire capitali, i mercati più appetiti sono quelli maggiormente liquidi e con l’Europa sull’orlo di un credit crunch l’isola rischia di realizzare in maniera dolorosa di non essere né abbastanza grande, né abbastanza isolata dal continente.

Comunicare le sconfitte

In coda al mio post sulla chiusura di Uannabe, scrivevo: «Sono invece un po’ perplesso dalla scarsa comunicazione di H-Farm, in particolare quando le start-up non riescono a spiccare il volo ma vengono, giustamente, chiuse. Credo che comunicare anche le sconfitte sia molto importante per chi di mestiere scommette sulle idee».
A due settimane dalla chiusura, sul sito di H-Farm non c’è alcuna comunicazione in merito, nella pagina che elenca le aziende incubate invece, sul logo di Uannabe è stata aggiunta un’etichetta recante la scritta “write-off” (svalutato/cancellato in termini contabili) ma ancora non si trova alcun commento nella scheda dell’azienda.

Uanna
Nel frattempo un breve articolo della Tribuna di Treviso ripropone la notizia e riporta la dichiarazione ottenuta, immagino al telefono, direttamente da H-Farm:

«Il momento era poco propizio e le aziende che cercano candidati hanno ristretto i budget facendo venire meno i profitti», fanno sapere da H-Farm, struttura all’interno della quale sono stati fatti rientrare i 5 addetti impiegati in Uannabe.

Decisamente scarno come comunicato, buono per una qualsiasi delle molte start-up della scuderia di Riccardo Donadon. Volendo fare uno sforzo di decrittazione, pare che il punto debole del progetto sia stato il timing – il momento era poco propizio – pertanto possiamo desumere che tutto il resto fosse stato pianificato e messo in pratica correttamente. Peccato! Se veramente è stato sbagliato solo il timing (ma di questi tempi non si dovrebbe iniziare un bel nulla), è un vero peccato che si sia chiusa così repentinamente l’avventura di Uannabe.

Uannabe chiude

Ha da poco compiuto due anni e già chiude Uannabe (senza nemmeno uscire dalla versione beta), il portale per la ricerca di lavoro incubato da H-Farm Ventures.
L’ultimo aggiornamento del blog aziendale risale al 22 aprile 2011 e l’ultimo tweet viene “esalato” pochi giorni dopo ma, già dal novembre 2010, Filippo Canesso (l’ideatore e frontman dell’azienda) aveva lasciato, come si può leggere sul suo profilo Linkedin.
L’innovativa video-risposta non è stata sufficiente a far decollare la start-up, probabilmente il periodo in cui è stata avviata non era il più propizio e sicuramente i ben piazzati concorrenti non sono rimasti a guardare.

Ho usato qualche volta Uannabe ed ho risposto (senza alcun riscontro peraltro) inviando la mia impacciata video-risposta, a mio parere la maggiore debolezza è stata l’esiguità degli annunci presenti nel portale, un fattore determinante per chi è alla ricerca di un lavoro.
Non vale la pena spendere energie per ricopiare il proprio curriculum nell’ennesimo sito se vi si trovano pochi annunci, se anche lo sforzo viene compiuto alla lunga il sito non viene nemmeno più visitato.

Mi spiace per chi ci ha creduto e ci ha lavorato e magari ha consentito a qualche candidato di trovare un lavoro, un sincero in bocca al lupo!

Sono invece un po’ perplesso dalla scarsa comunicazione di H-Farm, in particolare quando le start-up non riescono a spiccare il volo ma vengono, giustamente, chiuse. Credo che comunicare anche le sconfitte sia molto importante per chi di mestiere scommette sulle idee.

Il pianto del fiscalista

E' consuetudine, tra i fiscalisti, invitare a convegno le societ?? clienti almeno una volta l'anno, per illustrare le novit?? normative.
A tutte quelle a cui ho sin qui partecipato, l'apertura viene dedicata al dileggio del legislatore (pi?? spesso il Governo decretante) che infarcisce leggi e decreti di controsensi e strafalcioni.
Fino allo scorso anno, il dileggio era accompagnato da un sorriso sornione del fiscalista di turno, un chiaro segnale che gli strafalcioni avrebbero quasi sicuramente consentito alla categoria di fornire migliori servigi ai clienti.
Questa settimana invece il dileggio era triste, astioso e dimesso. Non c'?? quasi nulla di chiaro, tranne la confusione, nei tre decreti (sviluppo, manovra correttiva e manovra di ferragosto) che hanno riempito le pagine dei quotidiani questa estate.
Ed in attesa delle circolari interpretative anche i fiscalisti piangono.

La crisi aumenta gli iscritti?

La crisi ha incrementato le iscrizioni ai sindacati? L’incertezza o la paura generata dalla stagnante situazione economica hanno spinto qualche lavoratore in più dei soliti a prendere la tessera?
A leggere frettolosamente i dati pubblicati dalle maggiori sigle sindacali sembra di no, il numero di iscritti alle organizzazioni sindacali cresce poco ma cresce oramai da molti anni.
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Negli ultimi due anni però i posti di lavoro persi sono stati centinaia di migliaia, per cui la seppur modesta crescita degli iscritti dovrebbe suggerire che, tra chi continua a lavorare, è aumentato il numero degli iscritti alle organizzazioni sindacali.
Avevo voglia di verificare questa ipotesi e fortunatamente sia CGIL che CISL mettono a disposizione i dati degli iscritti per categoria, questa informazione è fondamentale considerando che (la notizia è oramai di dominio pubblico) la categoria più rappresentata dai sindacati è quella dei pensionati, in pratica circa la metà degli iscritti di CGIL e CISL sono ex lavoratori.
Non è probabilmente notizia altrettanto nota ma, la seconda categoria di iscritti alle organizzazioni sindacali più numerosa dopo i pensionati è quella dei lavoratori della funzione pubblica, lavoratori che non hanno perso il lavoro in questi anni e vanno quindi esclusi dall’analisi. Istat fornisce il dato necessario per il confronto, il numero di lavoratori dipendenti.
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Nonostante la diminuzione di 336mila unità negli ultimi due anni, i lavoratori dipendenti sono aumentati di circa un milione negli ultimi sei, sinceramente il dato mi stupisce, non avevo notato tutta questa dinamicità nel mercato del lavoro, considerando anche il fatto che di quel milione di posti in più dal 2004 al 2010, il 72% sono a tempo indeterminato.
La risposta alle mie domande è dunque affermativa, gli iscritti “depurati” da pensionati e pubblici dipendenti, sono aumentati ad un tasso mediamente doppio rispetto a quello con cui è aumentato il totale degli iscritti dei due maggiori sindacati italiani.
Nel 2009 il tasso di crescita degli iscritti “depurati” è stato più che doppio rispetto al totale, dei circa 61mila nuovi iscritti, 63mila non erano né pensionati né dipendenti della funzione pubblica (diminuiti quindi di circa 2mila unità).
Nel 2010 questa differenza passa a circa 5 volte (+0,21% di nuovi iscritti totali rispetto ad un +0,97%) e mentre il totale dei nuovi iscritti ammonta a circa 22mila i nuovi iscritti “depurati” sono circa 42mila!
NOTA: non ho incluso UIL in quanto fornisce i dati disaggregati per categoria solo dal 2007. Dal computo andrebbero depurati anche i disoccupati (la CGIL tessera anche chi non lavora) e i transfrontalieri ma essendo numeri modesti e non avendo troppo tempo a disposizione, non l’ho fatto. Se a qualcuno interessano i numeri che si trovano in questo post, li può scaricare qui.  

I cercatori di lavoratori

Ho attraversato mesi impegnativi sotto il profilo professionale, durante i quali ho profuso parecchie energie alla ricerca di una nuova occupazione.??Durante questo intenso periodo di colloqui, telefonate, e riscritture del curriculum, ho accumulato qualche considerazione sulle societ?? di selezione e sui cambiamenti che questa professione sta attraversando, il blog mi pare il posto giusto per condividerle.

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Per molti si tratta di un'ovviet??, in quanto riguarda??l'inesorabile??risalita delle multinazionali della somministrazione (le agenzie interinali per capirci) che, dopo??aver monopolizzato il collocamento della parte bassa della piramide dei lavoratori, ovvero delle professionalit?? meno pagate, si sono rapidamente spostate verso gli??impiegati, i capi ufficio, i capi reparto e quadri intermedi e non necessariamente per concludere contratti di somministrazione.??

Personalmente nutrivo delle perplessit?? sulle agenzie interinali, ai miei occhi il loro lavoro di ricerca e selezione appariva la versione industriale di un lavoro che mi ero sempre immaginato come quello di un artigiano. Molte ricerche condotte parallelamente, scarsa specializzazione dei selezionatori, troppa fretta nella gestione dell'iter di selezione, erano il motivo per cui cercavo di preferire le offerte proposte dalle societ?? di mera selezione, convinto che le due tipologie di aziende seguissero tipologie differenti di aziende e offrissero posizioni differenti.

Non saprei dire con esattezza da quando, ma ora so con certezza che l'isolamento, di cui hanno goduto per anni le??grandi e piccole societ?? di pura selezione (da Michael Page in gi?? per capirci),???? definitivamente terminato e i nuovi concorrenti sono veramente agguerriti.??Oramai anche aziende di grandi e grandissime dimensioni, che non erano solite affidare la selezione dei "responsabili di funzione" alle agenzie interinali hanno cambiato atteggiamento.

Del resto i nuovi venuti non hanno fatto leva unicamente su ci?? che gi?? avevano a disposizione (presenza capillare sul territorio, enormi database di candidati, rapidit?? di esecuzione e prezzi pi?? bassi) ma si sono strutturati come i vecchi concorrenti, con divisioni e selezionatori dedicati: Permanent Placement (Adecco), Professionals e Search & Selection (Randstad), Experis (Manpower) e via di questo passo.

Insomma, se siete alla ricerca di lavoro non fate gli schizzinosi, i cercatori di lavoratori sono cambiati e lavorano anche per voi.